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Storie di cucito: intervista a Lavinia Busolo di BabaJole

by Ladulsatina
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La storia di cucito di questo mese è quella di Lavina Busolo @baba_jole . Lavinia ha la passione per la moda e il cucito dalle scuole medie, ha studiato e lavorato per diversi anni nel sociale e nel 2018 ha aperto il suo brand d’abbigliamento sartoriale chiamato BabaJole. Le sue creazioni sono principalmente realizzate in tessuti Wax.

Ecco la sua storia di cucito, buona lettura 🤗


Ciao, presentati!

Ciao, sono Lavinia, ho 40 anni, vivo a Dueville in provincia di Vicenza e ho un brand d’abbigliamento sartoriale chiamato BabaJole, il cui obiettivo è quello di far conoscere Paesi e culture attraverso i vestiti.

Come, quando e perché hai iniziato a cucire? 

Alle scuole medie passavo il tempo a disegnare bozzetti su dei quadernetti e alle superiori avrei tanto voluto iscrivermi all’Istituto Professionale ad indirizzo Moda, ma per vari motivi ho fatto una scelta diversa: il sociale. Questo mi ha portato poi a lavorare per 14 anni in una comunità alloggio per persone disabili e nel mentre mi sono iscritta all’Università, decisa a restare in ambito sociale con la facoltà di Mediazione Linguistica e Culturale, specializzandomi nella lingua serbo-croata.

Ma la passione per la moda non se n’è mai andata.

E’ stato solo molti anni dopo, quando mi sono trasferita da Vicenza a Dueville nel 2011, che ho colto l’opportunità di imparare a dare forma alle mie idee di moda: per caso, mi sono imbattuta in un negozio di macchine da cucire che organizzava corsi di modellistica e cucito. Tutto è iniziato così.

Fino ad allora era mia nonna (la Iole – con la I -, ma io per anni sono stata convinta fosse con la J) con cui ho vissuto, che ogni tanto mi cuciva qualcosa: lei era molto brava a confezionare abiti usando i cartamodelli di Burda ma era proprio la modellistica quella che io volevo imparare, per provare a realizzare quello che avevo nella mia mente.

Qui sto puntando gli spilli su una gonna Pata Pata in wax.

Qual è il primo capo che hai cucito? Com’è andata?

Il primissimo capo che ho cucito è stato appena prima di iniziare il corso. Volevo realizzare un abito molto semplice per Capodanno pensando che bastassero due cuciture per farlo. Quando poi mi sono dovuta imbattere nello sbieco per le rifiniture e i punti a mano ho capito che per fare un abito ci voleva più tempo di quello che pensassi, dovendo quindi fare i conti con la mia impazienza.

Nonostante questo, ero ancora convinta di voler iniziare il corso.

Quando e come hai trasformato la tua passione per la sartoria in professione?

Ho iniziato cucendo cose per me, poi per le amiche, per le amiche delle amiche e così via. BabaJole era già nata ufficiosamente e avevo creato una pagina facebook dove pubblicavo quello che facevo. E’ stato nel 2018 che ho deciso di provare a realizzare il sogno che avevo da ragazzina e intraprendere professionalmente questa strada.

Ci sono voluti tempo e tanta formazione per capire cosa volevo fare e come volevo che diventasse BabaJole.

Cos’è e come è nata BabaJole?

BabaJole è un progetto che mette insieme le mie passioni e le mie attitudini: l’interesse per la moda e per le altre culture e la volontà di dar voce a realtà che non godono di grande visibilità.

Quali sono le difficoltà maggiori che hai riscontrato nell’aprire e portare avanti la tua attività di artigiana?

I costi. E’ innegabile che una piccola realtà artigianale faccia una fatica enorme a sostenersi, considerando i costi che comporta. Nel mio caso, anche i costi della materia prima incidono tantissimo: i tessuti che uso provengono direttamente dai Paesi di origine, hanno un costo elevato (soprattutto se sono artigianali) gravato anche dai dazi doganali.

Nonostante io ami i colori, qualche volta spuntano il bianco e il nero.

E quali sono sono gli aspetti del tuo lavoro che ami maggiormente?

Mi piace tantissimo fare ricerca. Sia che si tratti di tessuti, sia di stile. Lo trovo molto stimolante ed è un modo che scoprire cose nuove. 

Mi piace trasferire tutto questo a chi acquista un mio capo. Ad esempio, ci tengo a far sapere la provenienza del tessuto, come viene realizzato e come si inserisce nel contesto tradizionale e culturale di provenienza.

Studio e ricerca dei tessuti sono parte fondamentale del mio lavoro.

Ci racconti come nasce un tuo capo? Da cosa parti per progettare un capo?

Sono cresciuta negli anni ‘90, e sono un’appassionata degli anni ‘60 e ‘70. In termini di stile, questi tre decenni sono sicuramente fonte di ispirazione, ma in generale punto molto ai dettagli e, quando il tessuto lo permette, alle forme un pò insolite.

In alcuni casi, parto dall’idea del capo e da quella scelgo i tessuti più idonei. 

In altri casi, invece,  inizio a progettare partendo dal tessuto. Infatti, usando dei tessuti particolari, ho la necessità di capirne la mano e la resa, devo metterli sul manichino più volte per decidere quale progetto li valorizzerebbe meglio.

Questo è l’abito twiggy, ispirato -chiaramente- agli anni ‘60.

Qual è il capo che hai progettato e cucito a cui sei più legata? Perchè?

Tra tutti, forse il Kimotto. E’ un capo spalla reversibile e imbottito. E’ quello che finora ha richiesto più studio e più aggiustamenti nel tempo per trovare la soluzione definitiva. Ma mi da sempre grande soddisfazione perchè quando lo vedo indossato dalle mie clienti penso sempre:”Ma quanto bello è?!”

Questo è un Kimotto: un capo spalla imbottito e reversibile.

E il capo più difficile che hai disegnato e cucito? Perché è stato difficile?

Sono un paio di pantaloni a cui lavoro dall’anno scorso. Ho fatto alcune prove, sia in termini di modellistica sia di confezione, ma ancora non ci siamo. Non sono ancora riuscita a dare esattamente la forma che vorrei, ma non demordo! 

L’errore più clamoroso di cucito/sartoria/modellistica o in generale nel lavoro di artigiana e la lezione che hai imparato?

In fatto di cucito, di errori ne ho fatti ma, come artigiana, l’errore più grande (ripetuto più volte) è stato quello di dare la possibilità alle clienti di chiedere qualsiasi tipo di progetto: il desiderio di accontentare tutti è sempre prevalso, a discapito della reale mission del mio brand, sottovalutando a volte i tempi di realizzazione e arrivando a tempi lunghi di consegna. 

Ora sono diventata un pò più brava a dire “no”. 

In cosa la moda slow e la sartoria ti hanno cambiato la vita?

Sono cresciuta vestendomi di abiti passati da altri, con quelli che mi faceva mia nonna o comprando vintage. Io credo di essere sempre stata slow, un pò per necessità, un pò anche perchè mia nonna era contraria all’acquisto non indispensabile e quindi mi faceva la ramanzina ogni qual volta le dicevo che volevo comprare qualcosa per vezzo.

Anche imparare a cucire ha contribuito notevolmente a non alimentare il mio armadio: non conto più le volte che guardando qualcosa di carino in un negozio ho detto:”Beh, ma questi, me li posso tranquillamente fare io”, e alla fine non ho mai fatto!

Amo i dettagli sartoriali. Quasi tutti i miei capi sono rifiniti con sbieco, cuciture invisibili e punti a mano.

Un libro (di moda/sartoria/modellistica) che ci consigli di leggere?

Se qualcuno volesse conoscere qualcosa dei tessuti africani, consiglio sicuramente di leggere “Wax & Co.” di Anne Grosfilley perchè è in italiano, da un’infarinatura generale ed è ricco di immagini. Per entrare dentro al vasto panorama tessile africano invece, consiglio caldamente “African Textiles” di John Gillow, che però è in inglese. 

Per avere una visione più contemporanea dello stile e della moda africana, bellissimo il libro “Swinging Africa” di Emmanuelle Courrèges (vale anche solo per le foto), in francese.

Che consiglio/consigli daresti a chi vuole iniziare a cucire?

Consiglierei di iniziare da un progetto facile e di armarsi di pazienza. E soprattutto di imparare anche le cose più noiose perchè prima o poi serviranno anche quelle.

E a chi vuole trasformare la propria passione per la sartoria in lavoro?

Di fare un buon e realistico business plan. Di darsi un tempo preciso per capire se l’attività funziona o meno. Di essere consapevoli che potrebbe anche non funzionare e non per forza per propria colpa, ma per un insieme di fattori. 

Ultimo, ma non meno importante, di imporsi il tempo dedicato solo a se stessi e/o alla famiglia.


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